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Si è tenuta ieri a Milano la conferenza nazionale sui rifiuti organizzata da Amici della Terra. Durante l'evento si è parlato dell'emergenza al buon governo dei rifiuti, della necessità di porre un alt all'export. Di azzerare gli sprechi e ottimizzare il riciclo ma anche di archiviare i miti dei rifiuti zero e i tabù sul recupero energetico. Nella sessione del pomeriggio moderata da Antonio Massarutto si è discusso dell'economia del rifiuto con l'illustrazione di tre case study: plastica, legno e carta. Quest'ultimo è stato illustrato dal DG di Assocarta Massimo Medugno con una relazione dal titolo "Che fine fa la carta al termine del ciclo di reupero quando le fibre di cellulosa non sono piu' utilizzabili?" Per leggere l'abstract dell'intervento clicca qui:

 

"L’economia circolare stimola il tessuto industriale, genera ricchezza e crea impiego proprio dove sono stati realizzati gli sforzi per recuperare il rifiuto. Il riciclo in prossimità, per di più, riduce l’impatto ambientale che si può misurare con la diminuzione di emissioni di CO2.

La filiera della carta in Italia ricicla il 60 per cento del materiale. Un giornale in 7 giorni torna in produzione, una scatole di cartone ondulato in 14. Velocità e prossimità del riciclo aumentano il risparmio di risorse.

In Italia, a livello legislativo, questi concetti vengono esplicitati dal comma 5 dell'art. 181 Dlgs 152/2006 che introduce il concetto della “prossimità” agli impianti di recupero, secondo il quale per le frazioni di rifiuti urbani oggetto di raccolta differenziata destinati al riciclaggio (…), al fine di favorire il più possibile il loro recupero privilegiando il principio di prossimità agli impianti di recupero. L’art. 199 DLgs n. 152/2006 secondo cui il piano regionale deve assicurare lo smaltimento e il recupero dei rifiuti speciali in luoghi prossimi a quelli di produzione al fine di favorire la riduzione della movimentazione di rifiuti. Questi concetti dovrebbero ripresi a livello locale nei bandi e nei piani di gestione.

Ma chiudere il cerchio, economia circolare e prossimità significa anche poter gestite gli scarti del riciclaggio per produrre energia e risparmiare risorse energetiche. 400 mila tonnellate di scarti corrispondono a 99 mila tep e 720.000 tonnellate di petrolio, lo 0,05 per cento del fabbisogno nazionale. 

Ma non c'è solo questo. In Gazzetta Ufficiale arriva lo Sblocca Italia (DL n. 133) che ha l’obiettivo di rilanciare gli investimenti.

Peccato che li sblocchiamo….dopo averne “stoppati" altri, che non avevano bisogno di norme, ma solo di qualche certezza in più.

Infatti, la legge n. 116/2014 (che ha convertito il DL  91/2014, DL Competitivita’),  include la parte energetica, il c.s. “taglia-bollette”, il cui scopo è quello di ridurre del 10% il costo della bolletta per le PMI. Esso prevede vari interventi, tra cui quelli sulle fonti rinnovabili, di cui si è parlato molto e spesso.

Ma c’è anche l’art. 24 che prevede un grave, assurdo ed illogico aumento dei costi energetici per gli auto-produttori.

E ciò avviene a meno di 6 mesi dalla tanto attesa definizione del quadro regolatorio per tali sistemi che la legge aveva stabilito nel 2008.

Ma chi sono gli auto-produttori? Sono coloro che, a causa della gravità del problema del costo energia, si sono attrezzati per produrre energia in proprio, nel tentativo di ridurre la bolletta tramite la tecnologia della cogenerazione (una BAT secondo la UE!) e  investendo per migliorare le performance ambientali dell’azienda.  Si tratta di una tassa sbagliata ed illogica, con la quale si chiede di pagare oneri relativi all’uso della rete ad aziende che si sono attrezzate per non usarla e produrre in proprio.

Quello che è interessante e che tutto è derivato dalla posizione liberale (certamente condivisibile) di migliorare la competitività del Paese e di abbassarne i costi energetici, soprattutto per le PMI. E ci mancherebbe altro! I costi energetici in Italia sono i più alti in Europa.

D’altro canto lo shale gas (e quindi l’energia a basso costo ) non arriverà per molto tempo  ancora dagli USA, mentre l’energia ha in Europa costi crescenti proprio a causa delle politiche ambientali di finanziamento alle fonti rinnovabili e all’efficienza energetica. L’unica soluzione è quella di tirare fuori l’energia dal processo, tramite l’autoproduzione in  cogenerazione.

Ma qui viene il bello. Infatti, partendo da una posizione di tipo liberale  e, analizzando ciò che avviene sul mercato dell’energia, potremmo con facilità osservare che le PMI pagano un prezzo dell’energia di circa 72 euro/MWh contro un valore atteso del prezzo di borsa per il 2014 di 55 euro/MWh.

Buttando uno sguardo Oltralpe potremmo anche constatare che il regolatore francese ha stabilito d’imperio la riduzione delle tariffe di trasporto del 50% per i clienti ad alto tasso di utilizzo di energia, per contenere gli eccessivi ricavi dell’operatore di rete.

Due aspetti sui quali intervenire subito per ridurre ingiustificate rendite.

Eppure, partendo da una posizione liberale non si è pensato a queste due opzioni. Si è arrivati subito alla terza “opzione”, francamente la meno innovativa di tutti: introdurre una nuova tassa!

E quanto è avvenuto nel DL Competitività che introduce una nuova tassa sull’autoproduzione e sulla cogenerazione in contrasto con la direttiva efficienza energetica appena recepita  con il Dlgs n. 102/2014 e entrato in vigore il 19 luglio. 

Insomma, invece di dare accesso ai prezzi della borsa elettrica ad una fascia più ampia di imprese, di abbassare i costi dei servizi, si sceglie la strada che da sempre viene considerata la più semplice: cioè aumentare la tassazione sulle imprese, imponendo il costo di oneri di una rete della quale gli autoproduttori non usufruiscono.

Con buona pace delle imprese che, usando una tecnologia sostenibile  e qualificata come BAT, pensavano di unire ambiente e occupazione."

areasoci

 

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